Leggendo questa introduzione ad un corso che feci con Jodorowsky mi sento di presentarla e di raccomandarne lo studio perchè chiarisce molte cose riguardo il destino di una persona:
Un’arte che cura
psicomagia – psicogenealogia - psicoshamanesimo
di
Alejandro Jodorowsky
introduzione allo stage
(brani scelti e tradotti da Antonio Bertoli dall’Introduzione al
libro Manuale di psicomagia (consigli per guarirsi la vita)
di Alejandro Jodorowsky)
Ogni volta che ho analizzato i problemi di una persona, per quanto fossero attuali, ho
sempre finito per scoprire che le radici del malessere si trovano nel terreno famigliare.
L’infanzia influisce sulla vita intera: la triade madre-padre-fglio/a, se non è equilibrata, crea nell’individuo un destino disseminato di molteplici fallimenti, depressioni e malattie.
I bambini, nel loro affanno di essere amati dai genitori, hanno paura di essere giudicati
colpevoli di qualche mancanza. Per un bambino, che dipende anche sul piano vitale dai suoi genitori,
è terrificante risvegliare la propria collera ed essere punito. Apprende quindi a negare quello che
Freud ha chiamato “perversione polimorfa”: desideri sessuali infantili verso qualsiasi oggetto di
desiderio, liberamente, prima che intervenga la repressione. Questa amoralità primaria, innata, deve
essere accettata quando si lavora per eliminare gli effetti di un trauma. Lo sperimentatore deve accettare i suoi desideri, siano essi incestuosi, narcisisti, bisessuali, sadomasochisti, coprofagi o
cannibali. Poi, realizzarli in forma metaforica.
Dietro ogni malattia c’è il divieto di fare qualcosa che desideriamo oppure l’ordine di fare
qualcosa che non desideriamo. Ogni cura esige la disobbedienza a questo divieto o a quest’ordine.
E per disobbedire è necessario abbandonare la paura infantile di non essere amati; vale a dire di
essere abbandonati. Questa paura provoca una mancanza di coscienza: non ci si rende conto di
quello che si è davvero, cercando di essere quello che gli altri si aspettano che noi siamo. Se si
persiste in questa attitudine, si trasforma la propria bellezza interiore in malattia. La salute si trova
solo nell’autentico, non c’è bellezza senza autenticità, ma per arrivare a quello che siamo davvero
dobbiamo eliminare quello che non siamo.
Essere quello che si è: questa è la felicità più grande.
Insieme ai propri ordini o divieti, i genitori imprimono delle parole nella memoria dei loro
figli che più tardi agiscono come predizioni; il cervello ha la tendenza a realizzarle. Per esempio: “Se
ti accarezzi il sesso, quando sarai grande diventerai una prostituta”, “Se non fai lo stesso lavoro di
tuo padre e di tuo nonno morirai di fame”, “Se non sei obbediente, quando sarai grande ti
metteranno in prigione”…
Queste predizioni, arrivando all’età adulta, si convertono in una
minaccia angosciante. Il miglior modo di liberarsene è quello di realizzarle in forma metaforica:
invece di ridurre la minaccia, bisogna abbandonarsi ad essa.
La famiglia, in complicità con la società e la cultura, ci crea innumerevoli abitudini: mangiamo
un certo tipo di cibi, abbiamo un numero limitato di precetti, idee, sentimenti, gesti ed azioni. Ci
circondano le stesse cose.
Per guarire bisogna cambiare punto di vista riguardo a se stessi.
L’Io che patisce la malattia è più piccolo d’età rispetto a noi: è una costruzione mentale preda del passato.
Quando ci liberiamo dal circolo vizioso delle nostre abitudini, scopriamo una personalità più
autentica e, per ciò stesso, sana. Carlos Castañeda fece in modo che un grande direttore d’azienda,
suo discepolo, si vestisse miseramente e vendesse giornali per le strade della sua città. L’occultista
G.I.Gurdjieff esigette da un suo allievo, fumatore incallito, che smettesse col tabacco. Finché non ci
fosse riuscito, gli proibì di tornare a trovarlo. L’allievo lottò per quattro anni contro la sua abitudine
e quando arrivò a vincerla, molto orgoglioso della sua impresa, si presentò di fronte al Maestro:
“Ho smesso di fumare!”. Gurdjieff gli rispose: “Adesso fuma!”.
La psicanalisi è una tecnica che cura attraverso la parola. Il consultante, che viene chiamato
“paziente”, sta seduto su una sedia o su una poltrona senza che mai lo psicanalista si permetta di
toccarlo. Per liberare il paziente dai suoi dolorosi sintomi si richiede solo che ricordi i propri sogni,
che prenda nota dei suoi lapsus e dei suoi incidenti, che separi la propria lingua dalla volontà e dica
senza freni tutto quello che gli viene in mente. Dopo un lungo periodo di confusi monologhi, a
volte egli giunge a rivivere un ricordo che era sepolto nelle profondità della sua memoria. “Mi
hanno cambiato la balia”, “Il mio fratellino distrusse tutte le mie bambole”, “Mi hanno costretto a
vivere con i miei nonni puzzolenti”, “Ho sorpreso mio padre mentre faceva l’amore con un uomo”,
eccetera.
Lo psicanalista – che procede convertendo i messaggi che l’inconscio invia in un discorso
razionale – crede che, una volta che il paziente abbia scoperto la causa dei suoi sintomi, questi
spariscano… Ma non succede così!
Quando emerge un impulso dall’inconscio, possiamo liberarci di esso solo realizzandolo. Per questo la psicomagia propone di agire, non di parlare soltanto.
Il consultante, seguendo un cammino inverso rispetto a quello della psicanalisi, invece di insegnare all’inconscio a parlare il linguaggio razionale insegna alla ragione a praticare il linguaggio dell’inconscio, composto non solo da parole ma anche da atti, immagini, suoni, odori, sapori o sensazioni tattili. L’inconscio accetta la realizzazione simbolica, metaforica. Per esso una fotografa non rappresenta altro che la persona ritratta, considera una parte come il tutto (i brujos realizzano i
propri incantesimi su dei capelli, delle unghie o dei frammenti di vestito delle loro possibili vittime);
proietta le persone che popolano la sua memoria su degli esseri reali o delle cose. I creatori dello
psicodramma si resero conto che una persona che accetta di interpretare il ruolo di un famigliare
provoca nel paziente delle reazioni profonde, come se fosse di fronte al personaggio reale. Colpire
con un cuscino produce sollievo dalla rabbia contro un abusatore…
Per raggiungere un buon risultato, la persona che realizza l’atto deve liberarsi, in un certo
senso, dalla morale imposta dalla sua famiglia, dalla società e dalla cultura. Se fa questo potrà, senza
paura di una punizione, accettare i propri impulsi interiori, sempre amorali. Per esempio, se
qualcuno che vuole eliminare la sua sorella minore (perché gli ruba l’attenzione della madre)
attacca la fotografa della piccola su un melone e fa scoppiare il frutto a martellate, il suo inconscio
dà per realizzato il crimine e il consultante si sente così liberato.
In psicomagia si dà per assodato che le persone che popolano il mondo interiore – la
memoria – non sono le stesse che popolano il mondo esterno. La magia tradizionale e la brujeria
lavorano col mondo esteriore credendo di poter acquisire dei poteri soprannaturali tramite dei
rituali superstiziosi, per influire sulle cose, sugli avvenimenti e sugli esseri.
La psicomagia lavora con la memoria:
nel caso citato precedentemente non si tratta di eliminare la sorella in carne ed ossa,
già diventata adulta, ma piuttosto di provocare un cambiamento nella memoria, tanto dell’immagine dell’essere odiata, quando era bambina, quanto della sensazione di impotenza e di rabbia accumulate dal bambino che la odia.
Per cambiare il mondo è necessario cominciare a cambiare se stessi. Le immagini che
conserviamo nella memoria si accompagnano alla percezione di noi per come eravamo nel
momento in cui abbiamo vissuto quelle esperienze. Quando ricordiamo i genitori tali e quali erano
nella nostra infanzia, lo facciamo da un punto di vista infantile. Viviamo accompagnati o dominati da un gruppo di “ego” di diverse età. Tutti manifestazioni del passato. La fnalità della psicomagia, mutando il consultante nel suo proprio guaritore, è arrivare al punto in cui egli si situi nel suo ego adulto, un ego che non può occupare altro luogo che il presente.
Qualche volta consiglio al consultante di cambiarsi di nome. Questo primo “regalo”
concesso al nuovo nato lo individualizza in seno alla famiglia. La psiche infantile, proprio come
farebbe un animale domestico, si identifica con questo suono col quale costantemente si attrae la
sua attenzione. Finisce per incorporarlo alla propria esistenza come se fosse un organo o una
viscera in più. Nella maggior parte dei casi, nei nomi scivola il desiderio famigliare che gli antenati
rinascano: l’inconscio può mascherare questa presenza dei morti non solo ripetendo il nome per
intero (in molte famiglie il primogenito riceve lo stesso nome del padre, del nonno, del bisnonno; se
è una femmina può ricevere un nome mascolinizzato che passa per esempio da Francesco a
Francesca, da Marcello a Marcella, da Bernardo a Bernarda, ecc.). Questo nome, se viene caricato di
una storia, a volte segreta (suicidio, malattia venerea, carcere, prostituzione, incesto o vizio, forse di
un nonno, una zia, un cugino), si fa veicolo di sofferenza o di condotte che poco a poco invadono la
vita di colui che l’ha ricevuto.
Ci sono nomi che alleggeriscono e nomi che appesantiscono. I primi agiscono come
talismani benefici. I secondi sono detestati. Se una figlia riceve dal padre il nome della sua vecchia
amante, resta la sua fidanzata per tutta la vita. Se una madre, che non ha risolto il nodo incestuoso
con suo padre, dà al bambino il nome di quel nonno, il figlio, imprigionato nella trappola edipica, si
vedrà costretto ad imitare il nonno ammirandolo e al tempo stesso detestandolo, in quanto rivale
invincibile. Le persone che ricevono dei nomi che sono dei concetti sacri (Santa, Bianca, Pura, Incarnazione, ecc.) possono sentirli come ordini, patendo dei confitti sessuali. Quelli chiamati
come angeli (Angelica, Raffaele, Gabriele, Celeste, ecc.) possono sentirsi non incarnati. I Pasquale,
Cristiano, Nazareno, Emanuele, ecc., è molto possibile che patiscano deliri di perfezionismo e che a
33 anni vivano un’angoscia di morte, la paura di incidenti, di rovinarsi economicamente o di una
grave malattia.
A volte i nomi sono il prodotto di desideri inconsci di risolvere delle situazioni dolorose.
Per esempio, se un uomo quando era bambino è stato separato dalla madre, chiama suo figlio
Giovanni Maria e realizza in questo doppio nome il suo desiderio di riunirsi alla madre. Se muore
un piccolo, quello che viene dopo può essere chiamato Renato (dal latino renatus, che significa
“rinato”). Se un antenato è stato messo in prigione, nella vergogna della famiglia, per una truffa o
per un furto, un discendente diretto può essere chiamato Innocente. Se una donna con delle
fissazioni incestuose si sposa con un uomo che ha lo stesso nome di suo padre, può generare dei
figli che patiscono una confusione generazionale: inconsciamente, nel viversi come figli del nonno
materno, considereranno la madre come una sorella, il che provoca in loro immaturità. Se dopo
una bambina nasce un maschio che si battezza col nome di lei mascolinizzato (Antonia seguita da
Antonio, Francesca seguita da Francesco, ecc.), può significare che la nascita della bambina è stata
una delusione e quindi la giovane, considerandosi lo schema di un futuro maschio, può vivere
immersa in un doloroso disprezzo per se stessa, sentendosi incompleta. Un nome preso dalle stelle
del cinema o della televisione, o da scrittori famosi, impone una meta che esige la celebrità, il che
può essere angosciante se non si possiede talento artistico. Se i genitori trasformano il nome dei
propri figli in diminutivi (Gigi, Toni, Pino, Rosi, Giuseppina, ecc.), possono mantenerli per sempre
nell’infanzia.
I nomi, nell’inconscio, funzionano come dei mantra (versi presi dalle opere vediche e usate
come incantesimi). Queste parole, tramite la loro costante ripetizione, originano delle vibrazioni
che producono determinati effetti occulti. I bramini credono che ogni suono nel mondo fisico
risvegli un suono corrispondente nei regni invisibili e solleciti l’azione di una forza oppure di
un’altra. Secondo loro, il suono di una parola è un efficace agente magico e costituisce la principale
chiave per stabilire la comunicazione con le entità immortali. Per una persona che da quando nasce
e fno a che muore ripete ed ascolta ripetere il suo nome, questo funziona come un mantra. Un
suono ripetuto può però essere benefico oppure dannoso. Nella maggior parte dei casi il nome
consolida un’individualità limitata. L’ego afferma “Sono così e in nessun altro modo”, perdendo
fluidità, anchilosandosi. I grandi adepti della Magia come Éliphas Lévi, Aleister Crowley o Henry
Corneille-Agrippa, affermarono che l’essere umano ha due corpi, uno fisico e l’altro di luce
(chiamato anche corpo energetico o anima) il quale, essendo sacro, non può avere un nome
personale. Il nome che si pronuncia, unito come una sanguisuga al corpo fisico, manifesta solo
l’individualità illusoria della persona. Il corpo di luce forma parte dell’impronunciabile nome di Dio.
Il proposito di questi maghi era quello di sviluppare o di ricordare il corpo di luce, integrandolo
nella coscienza quotidiana. Se si raggiunge un equilibrio funzionale del corpo di luce col corpo
fsico, l’ego egoista resta eliminato. La presa di coscienza dell’essere essenziale apre la porta della
libertà nel momento in cui cessa di essere incatenato al suo nome comune, se questo si vive in
modo doloroso.
UNA POESIA inedita di Alejandro Jodorowsky
RITRATTO IN SEPPIA
A colpo d'occhio, incollato alla melma,
stufo di venerare pareti,
il cervello avvolto in fiamme,
non c'è alcuna differenza
tra il matto che si crede Napoleone
e io che mi credo Jodorowsky.
È come scavare un tunnel
in una montagna nera,
è come portare
gobbe di uranio,
è come possedere
uno scheletro leggero
in un mondo ch'è solo peso.
Convincerò le porte
che non c'è dentro né fuori.
Mi allontano navigando
in un fume d'osso liquido.
Riapparirò in qualsiasi bacio.
tratto da: http://www.eventi.sm/wp-content/uploads/2010/06/